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NOVECENTO (PARTE PRIMA) Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 21 ottobre 1976
 
di Bernardo Bertolucci, con Gérard Depardieu, Robert De Niro, Burt Lancaster, Sterling Hayden, Laura Betti, Stefania Sandrelli, Dominique Sanda, Donald Sutherland, Romolo Valli, Alida Valli, Stefania Casini, Francesca Bertini, Paulo Branco (Italia, 1976)
 
Di NOVECENTO se ne sta parlando così tanto, e quasi sempre a sproposito, che non sia ha voglia di aggiungere granché. Natalia Ginzburg ha scritto che è del brutto cinema, e che Bertolucci è sempre stato un mediocre regista; Bocca ha scritto che la storia è stata tradita; le comparse hanno scritto che Bertolucci se ne partiva dal set in Rolls, mentre loro mangiavano un panino nei campi alla faccia del socialismo. Vien da rabbrividire. Consoliamoci: non è soltanto da noi che esistono i sindaci che proclamano che SALO' è una porcheria frutto di una mente malata.

Che Bernardo Bertolucci sia uno dei grandi del cinema italiano del dopoguerra, chiunque sappia leggere decentemente un film non ha atteso le cinque ore e passa di NOVECENTO per accorgersene: IL CONFORMISTA, STRATEGIA DEL RAGNO o ULTIMO TANGO A PARIGI sono delle grandi opere, l'ultimo sicuramente un capolavoro. Che la storia sia stata tradita, non vuol dire nulla. Certo, i personaggi sono schematici, i buoni stanno da una parte, i cattivi dall'altra. I contadini sono vestiti di fustagno ed i borghesi, i padroni, hanno le scarpe lucide. Certo, Bertolucci ha preso due personaggi, un servo e un padrone, e gli ha costruito una storia attorno, una storia che dura quasi mezzo secolo. E per costruire una storia così, e farne un'opera di divulgazione popolare, non si può sfuggire ad un determinato meccanismo narrativo. Un meccanismo che nei suoi momenti morti, può ricordare certo cinema americano, anche commerciale. Ma Bertolucci non ha voluto fare un trattato di storia, ed il cinema non è una cronologia di nomi o di date come quelle che si ostinavano a farci imparare a memoria a scuola.

Per fortuna. Per fortuna, Bertolucci è un artista: ed il suo film, questo affresco del socialismo, questa sua epopea popolare, questa sua cronaca della presa di coscienza delle lotte di classe nel nostro secolo, per fortuna non è un catalogo di erudizione, o una arida dimostrazione di fede. Quando lo è, in quei momenti soltanto, NOVECENTO scade. Ma l'arte di Bertolucci consiste proprio nell'aver evitato il trabocchetto dell'apologia astratta. Il film è intriso dell'odore della terra, di quello del sudore. E di quello dello sterco, nel quale Lancaster affonda le mani. E nei suoni così veri e antichi, della campagna. NOVECENTO vive dell'eco della meravigliosa parlata della bassa emiliana, sui visi scavati dei contadini, nel succedersi eterno delle stagioni che conduce il film con un ritmo incomparabile.

E' questa aderenza alla terra, alla vita, che fanno di NOVECENTO un'opera vera, a tratti pregna di una emozione incontenibile. E' facile dire che un'opera di cinque ore e mezza assomiglia ai Via con il vento di Hollywood: è altrettanto facile ribattere che in NOVECENTO rivive il lirismo fremente, la fede che si allinea alla poesia più semplice, dei capolavori del cinema sovietico, di quelli di Dovzehnko soprattutto. Il film va visto come una serie di grandi quadri, dimenticando forse quel meccanismo che serve a portare innanzi, cronologicamente, questi momenti: ed è così che la straordinaria bellezza ed efficacia di certe sequenze non può sfuggire a nessuno.

Bertolucci riesce, in questi quadri, a passare dal soffio epico dei movimenti di massa, all'intimismo di certi personaggi che diventano squisitamente emblematici (Depardieu, Sanda e Sandrelli, i ragazzini). A passare dal lirismo agreste (l'inizio stupendo, il ballo dei contadini in riva al fiume) alla denuncia fremente e corale (lo sfratto del contadino, i funerale) o alla analisi politica e sociale (la raccolta dei fondi nella chiesa) con quella naturalezza che solo la grande padronanza della scrittura cinematografica permettono. Ma NOVECENTO è soprattutto il canto di un popolo, quello emiliano, colto alle sue radici più vere e più feconde. E per qualcuno che voleva scrivere una storia socialista, non vedo risultato più bello.


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